27 set 2006

Barney dove sei?

E’ possibile sentire la mancanza, una mancanza quasi epidermica, di un personaggio letterario?
Potrà sembrare strano ma a me succede.

Ad esempio oggi.
Leggo il pezzo della Miretti su La Stampa Web, un pezzo sul turismo sessuale - pardon: sentimentale - femminile e sento la mancanza di Barney Panowsky (che il dio della letteratura lo abbia in gloria, lui e Mordecai Richler).
Perché Barney un pezzo del genere non se lo sarebbe lasciato scappare per nulla al mondo (se non per una partita dei Canadiens, beninteso).
E allora non mi ci metto nemmeno, a commentarlo.
Anche perché la Miretti è riuscita nella paradossale impresa di trovare le parole in cui possono riconoscersi due estremi umani: women in love del terzo millennio e misogini orfani letterari del secondo.
Barney dove sei?
Cazzo cazzo e cazzo.


Stefania Miretti – Il senso di Ismail per la tenerezza (@ La Stampa Web)
Grassettatura a cura di Blober
Voce assente: Barney Panowsky

«AIUTO! L’amore più vivo e speciale che la mia vita abbia mai incontrato... doveva proprio nascere a Capo Verde? C'è qualcuna nella mia stessa situazione? Che posso fare?». Sul forum femminile on-line la ragazza che si firma Memole lancia il suo grido di dolore.
Le rispondono a decine. – «Anche io mi sono innamorata di un bellissimo ragazzo di Boa Vista. Sono felice e ogni 3 mesi vado da lui. Ma sono pazza anche dell'isola e della gente. Lui è un complemento di tutto questo paradiso». – «E’ successo anche a me, non so se fosse amore, forse è la forza della loro infinita solarità che ci fa volare così in alto... comunque qualcosa di splendido l’ho vissuto, lui era così semplice d'animo che mi ha conquistata in un attimo».
E’ settembre il più crudele dei mesi, per le viaggiatrici dell’amore che tornano dalla loro settimana tutto compreso e fanno i conti con la nostalgia, con le difficoltà di comunicazione (il «complemento del paradiso» guadagna 100 dollari al mese quando va bene e non ha mai ricarica sul telefonino), coi sensi di colpa talvolta e talaltra con la fresca diagnosi di papilloma virus. Lo chiamano turismo sessuale femminile, «ma attenzione», dice la psicoterapeuta Maria Rita Parsi che ascolta i racconti delle viaggiatrici di ritorno, «è desiderio di tenerezza e scoperta di un modo meno complicato di relazionarsi al maschio; sono rapporti dove l’attenzione all’altro non viene mai meno, privi della componente aggressiva che caratterizza il turismo sessuale vero e proprio, quello che resta appannaggio degli uomini.
Tant’è vero che molte finiscono per innamorarsi». Un tempo erano donne mature e straniere, la Charlotte Rampling del film «Verso il Sud», le tedesche o le polacche che ogni turista ha incontrato sulla spiaggia di Aqaba come al tavolino d’un bar all’Avana, gli occhi negli occhi d’un ragazzo giovane dai muscoli guizzanti. Oggi la viaggiatrice dell’amore ha spesso trent’anni ed è, sempre di più, italiana: «Il fenomeno è in fortissima crescita», assicura la professoressa Alessandra Graziottin, direttore del centro Ginecologico San Raffaele Resnati di Milano.
A lei in questi giorni capita di curare il sopraccitato papilloma, certo, ma anche di riflettere su quel che le raccontano le pazienti e trarne indizi (sconfortanti) sullo stato del sesso, qui da noi: «Molte sostengono di aver trovato in questi ragazzi una sensualità perduta, maschia ma non violenta, non meccanica né superficiale». Altre raccontano: «Dottoressa, io ho quarant’anni, sono curata e carina, ma a Milano mi sento invisibile; laggiù ho la sensazione di esistere ancora come donna, sento la musica del corteggiamento, ritrovo la mia femminilità».
Entusiasmi che anche a Maria Rita Parsi capita di registrare: «In quei luoghi ci sono ancora uomini capaci di mettere al centro del loro interesse il corpo femminile. O almeno, di suscitare nelle donne l’illusione che così sia. Mentre nelle nostre città prevalgono il consumo distratto di sms...». Un maschio meno problematico esiste, il tam-tam è dunque partito: l’atletico beach-boy di Noungwi, il romantico beduino del Wadi-ram, il barman di Taba che in fin dei conti parla tre lingue ed è pure elegante, sono personaggi ormai familiari nel teatrino delle confidenze tra amiche. Così si parte, sempre di più, verso Sud: da sole, in due o in piccolo gruppo, per la vacanza a Capo Verde, a Sharm el Sheik, a Zanzibar, in Senegal, a Cuba, a Djerba.
Lo confermano le agenzie di viaggio, che indicano le mete ma preferiscono non commentare ufficialmente il trend «per delicatezza nei confronti delle clienti»: donne tra i 30 e i 50 anni, graziose e benestanti, che spesso, entrando nello studio della ginecologa, esordiscono scherzando amaro: «Dottoressa, attenta alle ragnatele». Graziottin le divide in due gruppi: «Le autocentrate ed espressive, sicure di sé e molto autoprotettive, che infilano il profilattico in valigia, sanno cosa aspettarsi e sono attente a non esporsi a rischi. E le “ferite”, donne che hanno mariti che non le guardano dall’epoca degli Incas, hanno collezionato relazioni deludenti o hanno fatto un forte investimento affettivo sul lavoro e non si sono sentite ricambiate. Le vedo partire e so che finiranno per fare a se stesse un regalo avvelenato. Predisposte all’investimento illusorio, non si proteggono e a volte finiscono col cuore spezzato. Molte poi s’imbarcano in imprese disperate, finendo per assumersi responsabilità economiche nei confronti della famiglia dell’amante: per dire, c’è anche chi s’impegna a mantenerne il fratellino e farlo studiare».
Già, perché la questione che tutte fanno fatica ad affrontare è che verso Sud si trovano, nella maggior parte dei casi, amori asimmetrici e un po’ mercenari, una felicità a pagamento, sia pure indiretto. E le donne non sono ancora capaci di pagare, ma sempre bravissime a votarsi al disastro. dell’altro, una sessualità inesistente, che dopo un paio d’incontri viene risolta tutta via